Partito di Alternativa Comunista

Nulla di eccezionale: è la crisi climatica

Nulla di eccezionale: è la crisi climatica

 

 

 

 

di Giacomo Biancofiore

 

 

La previsione degli eventi metereologici estremi negli ultimi anni somiglia sempre più alla roulette russa. Spostiamo il dito da un punto all’altro del mappamondo, saltellando senza più distinzioni tra aree geografiche.
Senza dubbio i disastri provocati dalle tragedie climatiche hanno una portata decisamente più pesante sui Paesi dipendenti, ma la situazione sta precipitando anche nei Paesi meno vulnerabili che, pur essendo teoricamente più preparati ad affrontarli grazie a molti più soldi e strutture a disposizione, stanno evidenziando tutti i limiti del sistema capitalista a prevenire le sofferenze dei territori e delle popolazioni che li abitano.
Che avvengano in Africa, in America o in Europa, il prezzo è altissimo e si misura principalmente in perdite di vite umane. Milioni. Uomini, donne, bambini, vecchi del proletariato mondiale.

 

L’Europa tra caldo torrido e diluvi

La scorsa estate la Germania occidentale, in particolare i Land del Nordreno Vestfalia e della Renania Palatinato, è stata investita dalla tempesta Bernd, che ha provocato centinaia di morti. Il maltempo ha causato inondazioni che hanno travolto interi centri abitati rimasti per giorni senza corrente elettrica. Nello stesso periodo anche il Belgio e il nord della Francia sono stati colpiti dalle alluvioni.
In Italia, invece, secondo le analisi statistiche del Cnr-Isac, luglio 2021 è stato il terzo più caldo dall’Ottocento al sud con 1,65 °C sopra la media. In varie occasioni, soprattutto quando locali condizioni favoniche (venti di caduta dai rilievi) arroventavano l'aria già caldissima presente in libera atmosfera, le temperature diurne hanno raggiunto valori di +40°C +42°C, con picchi sui +44°C +45°C sulle aree interne della Sicilia.
L’estate appena trascorsa ha fatto registrare caldo record già nelle prime settimane di giugno, una vera e propria ondata di calore che ha investito l’intera Europa. Nel periodo estivo l’anticiclone di caldo africano ha fatto registrare temperature completamente fuori dalla media per il periodo. In Italia, nella Pianura Padana il fiume Po ha raggiunto i minimi storici. Il 40% dei terreni agricoli, inoltre, versava in estrema siccità.
Sempre secondo i dati climatici dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Isac) del Cnr di Bologna, il mese di maggio 2022 ha segnato temperature superiori alla media stagionale di +1.83°C. Non era mai stato registrato un caldo simile negli ultimi trent’anni, se non nel 2003 (+1.87°C).

 

Dalla Marmolada alle Marche, l’Italia dei «fenomeni estremi»

Il 3 luglio sulle Alpi italiane, precisamente sul ghiacciaio della Marmolada, si è verificato un crollo che ha fatto staccare, ha spinto e poi ha fatto scivolare a valle una estesa porzione di ghiaccio, quasi un terzo di una placca con una superficie di 26mila metri quadrati.
Non era mai successo che un grosso pezzo del ghiacciaio cadesse come è successo in quella calda domenica di luglio in cui hanno perso la vita 11 persone.
Con l’aumento di «fenomeni estremi» legati al cambiamento climatico, sulle Alpi ci sono ghiacciai che vengono sorvegliati costantemente perché è noto che alcuni loro pezzi potrebbero staccarsi e crollare, ma quello della Marmolada non era uno di questi.
Nei due mesi precedenti al disastro la temperatura media è stata di 2 gradi superiore alla media del periodo tra il 2008 e il 2021, e per quanto riguarda le precipitazioni nevose invernali, il trimestre tra lo scorso dicembre e febbraio è stato uno dei dieci più secchi e più caldi dal 1921. Secondo Fabrizio De Blasi, assegnista di ricerca dell’Isp, tra gli autori della ricostruzione del crollo, «La somma di questi due eventi negativi, le temperature particolarmente alte a inizio estate accompagnate da un alto grado di “scopertura” del ghiaccio, la stessa che si solito si vede ad agosto, ha sottoposto il ghiacciaio a uno stress enorme e per questo il tasso di fusione del ghiaccio era molto alto». Le conclusioni a cui giunge il ricercatore sono che a questo punto disastri di tale portata «non possiamo impedirli».
Dopo poco più di due mesi, sono ancora 11 le vite umane vittime accertate dell’ennesimo disastro, stavolta nelle Marche tra le province di Ancona e Pesaro. La sera del 15 settembre, il passaggio della piena del fiume Misa e dell’affluente Nevola gonfiati da ore di pioggia ha travolto ogni cosa, seminando morte, danni e terrore. Sessanta minuti d’apocalisse e una notte d’apprensione per Senigallia, la città investita dalla piena del fiume Misa, che ha varcato gli argini, allagando gran parte del centro e mettendo in ginocchio i 9.560 residenti sfollati. Mentre scriviamo questo articolo si cercano ancora una donna di 56 anni e il piccolo Mattia, di 8 anni.

 

La correlazione tra i disastri e i cambiamenti climatici

Per anni meteorologi e scienziati hanno considerato il riscaldamento climatico planetario un fenomeno naturale, dovuto all'attività solare, alle variazioni dell'inclinazione dell'asse terrestre e a fattori in parte sconosciuti; ondate di caldo, forti piogge o grandinate sono state considerate sì condizioni meteorologiche estreme, ma altresì fenomeni che si sono sempre verificati.
Oggi, la scienza, con il supporto di strumenti e indagini sempre più meticolose, non può più negare il legame tra il cambiamento climatico e gli eventi meteorologici estremi. Ma soprattutto quello che ormai è innegabile è il peso decisivo della mano dell’uomo sulla perdita dell’equilibrio climatico del pianeta. Non sono certo tutti indistintamente gli abitanti del pianeta i colpevoli, ma lo sfruttamento secolare da parte delle multinazionali è, dati alla mano, la causa principale della tragedia ambientale che stiamo vivendo.
La quantità di diossido di carbonio totale liberata in atmosfera dalle attività umane è pari a 27 miliardi di tonnellate all'anno: 50.000 tonnellate al minuto. Nel marzo 2013 la concentrazione misurata di diossido di carbonio nell'atmosfera terrestre è stata di circa 399 ppm. Si ipotizza che la concentrazione atmosferica di diossido di carbonio prima della rivoluzione industriale fosse 280 ppm, e che quindi sia aumentata del 35% dai tempi della rivoluzione industriale e del 20% dal 1958. La combustione dei combustibili fossili (carbone, petrolio) sarebbe la prima causa di questo aumento con il 64%, mentre la deforestazione sarebbe la seconda con il 34%.

 

Le responsabilità del capitalismo

Una volta assodato che la crescita quantitativa e qualitativa dei «fenomeni estremi» non ha nulla di eccezionale, ma è strettamente correlata alla crisi climatica, ancora in tanti si chiedono come mai chi gestisce le sorti di questo pianeta non faccia nulla per evitare o limitare i danni, in poche parole per risolvere quella stessa crisi che essi stessi hanno creato.
Il sistema di produzione capitalistico, per sua natura e per la sua stessa sopravvivenza, ha la necessità di produrre sempre più merci, al minor costo possibile, col massimo profitto possibile e nel minor tempo possibile. Per poter assolvere a queste necessità non può andare troppo per il sottile nello sfruttamento di persone e ambiente. Quello che può sembrare un comportamento irresponsabile e apparentemente folle non solo è una strada obbligata, ma addirittura diventa indispensabile per vincere la concorrenza fra capitalisti e quindi contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto. Come quegli animali che uccidono i propri figli per sopravvivere il capitalismo non può fare a meno di immettere a ritmi sempre più intensi Co2 in eccesso in atmosfera aumentando così l’effetto serra. Con lo stesso scopo e le stesse conseguenze si realizza l’ulteriore attività criminale, la deforestazione dei polmoni verdi del pianeta sacrificati sull’altare della produzione capitalistica.

 

La prevenzione incompatibile con il capitalismo

Ai disastri sui ghiacciai come quello della Marmolada, alle alluvioni come quella delle Marche di questi giorni, ma anche della Sicilia lo scorso anno o della Liguria e del Piemonte di due anni fa, si deve aggiungere una pesante crisi idrica che sta mettendo a dura prova l’agricoltura delle più importanti aree del Paese. In Italia come in un qualsiasi Paese dell’Africa.
Il Po, l’arteria fluviale più importante del nord Italia, per esempio è in secca, come non si assisteva da settant’anni, le acque del più grande fiume italiano si sono abbassate a un livello tale che l’acqua salata del mare Adriatico è penetrata per 30 chilometri dal delta verso l’interno, come non era mai successo nella storia, devastando le colture e mettendo a repentaglio la vita di numerose specie e quindi intaccando inesorabilmente la biodiversità di questo habitat.
Ma, come abbiamo detto prima, sebbene anche in Italia e in Europa stia crescendo rapidamente l’esposizione a questi disastri, rispetto ai Paesi dipendenti ci sarebbero le condizioni per prevenire e affrontare al meglio i disastri naturali. Tuttavia la voracità del sistema capitalista, con le sue multinazionali e i loro governi, non solo causa i disastri in Paesi, che a causa della maggiore vulnerabilità subiscono un impatto ancora più drammatico, ma non si preoccupa neanche di limitare i danni dove ci sarebbero le risorse per poterlo fare.
I problemi strutturali alla rete idrica nazionale, secondo un recente report Istat sull’acqua, crescono di anno in anno, provocando un spreco d’acqua dovuto alle carenze degli impianti idrici a dir poco allarmante; i rischi di esondazione non vengono presi minimamente in considerazione, non vi è alcuna mappatura e le infrastrutture non sono assolutamente adeguate ai livelli di pioggia di queste portate.
Nelle Marche, precisamente nella bassa valle del Misà, proprio dove c’è stata l’ultima drammatica alluvione, in un documento del 2016 si sosteneva chiaramente la necessità di effettuare lavori di messa in sicurezza che, invece, non sono stati fatti e neanche avviati.

 

Fermare il capitalismo

Il pianeta non può essere lasciato nelle mani di un manipolo di irresponsabili miliardari che stanno depredando il futuro dell’umanità. Se i capitalisti, per la natura stessa del loro modello economico, non hanno altre strade se non quella dello sfruttamento indiscriminato, anche il proletariato non ha altra scelta: fermare il capitalismo!
E, l’unico modo per fermare il capitalismo è abbatterlo, affinché possano essere finalmente attuate misure che, attraverso la pianificazione dell'economia, per mezzo della società socialista, mettano al centro la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale anziché il profitto privato.

 

 

 

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