Partito di Alternativa Comunista

Il capitalismo nuoce gravemente alla salute mentale

Il capitalismo nuoce gravemente alla salute mentale

 

 

di Giorgio Viganò

 

 

ll decadimento generale delle condizioni di salute mentale delle persone procede di pari passo con il marcire del sistema capitalista.
Nel 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lanciava un forte allarme, segnalando un aumento di poco meno del 20% delle diagnosi di depressione e disturbi d’ansia nel 2015 rispetto al 2005, che portava la prevalenza delle due condizioni rispettivamente al 4,5% e al 3,5% (1). Qualche mese fa, l’Oms metteva su questo desolato e anestetico quadro delle statistiche un ulteriore carico: un aumento del 25% delle diagnosi durante il primo anno di pandemia. La crescita del decennio 2005-2015 era dovuta soprattutto a un incremento delle diagnosi al di fuori dell’Occidente e si può presupporre che sotto quel processo, oltre alla globalizzazione e alle ripercussioni della crisi capitalista mondiale sui Paesi coloniali e semicoloniali, ci fosse anche un aumento delle capacità di rilevazione (2). Invece, questa nuova impennata, che supera in un anno l’aumento registrato in dieci, è globale e torna a invertire pesantemente la rotta (in realtà con dei prodromi già negli anni appena precedenti) in Usa ed Europa (3).
Ad essere colpiti maggiormente da questa ondata sono i giovani: l’Unicef stima che a 1 su 7 sia stato diagnosticato un disturbo mentale, per un totale di circa 170 milioni di teenagers al mondo: considerato che ansia e depressione rappresentano poco meno della metà dei disturbi, si ricava che la loro prevalenza in questa fascia d’età si trova tra 6% e 7%, quasi il doppio di quella generale. Probabilmente, essendo legata alle diagnosi, è una stima al ribasso, come testimonia il sondaggio allegato a queste dichiarazioni dell’Unicef, che segnala che 1 su 5 si senta spesso depresso a livello soggettivo. Il suicidio è la seconda causa di morte in Europa occidentale tra i 15 e i 19 anni, nel mondo la terza per le ragazze e la quarta per i ragazzi (4).

 

Le cause della crisi

Spesso, si tende ad attribuire questi dati unicamente all’avvento del covid19 e, anzi, non di rado chi ne ha parlato ha voluto utilizzare questo argomento contro le misure di sicurezza pubbliche come i lockdown e la didattica a distanza, già a partire dai primi mesi della pandemia. Ad esempio, il noto psicanalista Massimo Recalcati, in conferenza a La Repubblica delle Idee a inizio estate 2020, cavalcava gli sventurati ottimismi di quella stagione e criticava la gestione troppo restrittiva dell’emergenza sanitaria (5). Quasi non servirebbe ricordare come andò invece il drammatico autunno successivo, mentre è da chiedersi se l’illuminato epigono di Lacan dimenticasse, tra coloro che avevano avuto nuove diagnosi di depressione o ansia, i sopravvissuti alle ospedalizzazioni da covid (circa la metà) (6), coloro che avevano perso i propri cari a causa dell’infezione o gli operatori sanitari finiti in disturbo da stress post-traumatico per gli enormi carichi di lavoro e sofferenza umana.
Al contempo, non si può negare il carattere alienante e l’impatto psicologico delle misure restrittive, ma l’approccio à la Recalcati ha un vizio di fondo: la contrapposizione tra salute organica e salute mentale, una dicotomia dalla quale, nel concreto, nessuna delle due può uscirne beneficiata. Uno stile a cui ogni medico o psicologo moderno si direbbe fermamente contrario in astratto - quanto sono comuni oggigiorno le proclamazioni di un’attenzione «olistica» al paziente! -, ma a cui quasi tutti sono stati pronti piegarsi nel momento in cui l’aut aut è servito, in forma di ricatto, alla propaganda di Confindustria sulle riaperture.
E pure la posizione apparentemente più responsabile di chi non si copriva gli occhi davanti ai pericoli del contagio non era che una scrollata di spalle, non dava nessuna risposta a chi il disagio delle restrizioni lo subiva veramente. Una risposta seria a questo problema non poteva e non può che partire da una constatazione che è utile riproporre, sia per rinfrescare la memoria che per prepararci alle possibili recrudescenze dello sviluppo pandemico: la colpa della necessità di lockdown prolungati e ripetuti, ma anche di quarantene individuali durate fino a due mesi, va di pari passo con quella della terribile catena di morti che questo virus ha mietuto ed è della borghesia internazionale, che ha dapprima lasciato diffondere il Sars-CoV-2 e poi non ha messo in campo misure sufficienti quando ancora lo si sarebbe potuto fermare, costringendo la maggior parte della classe operaia al lavoro anche nei momenti più difficili.
L’Oms nel suo rapporto mette in luce, accanto al tema del confinamento e della diminuzione della vita sociale, la minore apertura d’importanti servizi per la salute mentale, financo quelli per la prevenzione urgente del suicidio: l’accesso, già di per sé non agevole, ai trattamenti specialistici è stato più difficile per vari mesi e ciò ha provocato sia una recrudescenza dei sintomi in persone già diagnosticate (talvolta banalmente per l’impossibilità a ritirare i farmaci) sia l’esacerbazione di franche malattie a partire da situazioni predisponenti. Gli appuntamenti online non sono riusciti che a mettere una pezza: già di per sé la distanza e l’interposizione di uno schermo possono essere meno funzionali per alcuni, in più nel concreto c’è chi quello schermo non può averlo o non può avere lo spazio per ascoltare ed esprimersi al riparo dall’orecchio altrui.
Inoltre, il documento dell’Oms denuncia la mancanza d’investimenti da parte dei governi e, in questo, l’Italia è maestra, collocandosi in una posizione assolutamente arretrata, tra i Paesi occidentali, per la frazione di spesa sanitaria dedicata alla salute mentale: se la media europea è il 12%, quella italiana è il 3,5%, se i professionisti della salute mentale per l’età dello sviluppo sono in media 6/100000 in Europa, in Italia sono 5, se ci spostiamo sull’età adulta 11 a 5. Inoltre, la frammentarietà delle spese sanitarie, regolate dalle regioni, fa sì che ci sia un grande divario tra l’8% investito in Trentino-Südtirol e il 2% medio del Meridione. In questo modo, la spesa media per una seduta privata, se non si vogliono aspettare i tempi biblici del sistema sanitario nazionale, si aggira tra i 50 e i 100 €: un costo che non è sostenibile dal proletariato, quasi mai. Senza contare che chi ne avrebbe più bisogno, come descritto dai dati citati, sono i giovani, studenti e/o lavoratori precari: come canta Marracash, rapper di origine proletaria e diagnosticato con disturbo bipolare, «forse la salute mentale è roba da ricchi» (7).
Tuttavia, se è necessario curare (perché la prevenzione psicologica è appannaggio di pochi), vuol dire che da qualche parte queste problematiche saltano fuori. La natura dei rapporti tra il sistema socioeconomico e la salute mentale (e, in generale, la psiche) è stata oggetto di fior fior di ricerche nella terra di confine tra psichiatria, psicologia, sociologia e filosofia, che hanno prodotto lavori con le posizioni più disparate e con cui si può più o meno essere d’accordo, ma senza dubbio ricchi di intuizioni sagaci e analisi condivisibili, basti pensare, tra i più famosi, a Michel Foucault, Mark Fisher, Franco Basaglia: va ben al di là delle possibilità di questo articolo un’analisi che richiederebbe probabilmente un’intera vita dedicata.
Al contempo, buttando uno sguardo un attimo oltre rispetto alla povertà della risposta «covid» che si trova quando i giornali borghesi parlano della situazione, è difficile negare la decadenza generale del capitalismo.
Il capitalismo dal 2008 non si è più ripreso. Al di là delle oscillazioni positive di cui hanno beneficiato solo i padroni, le condizioni di vita dei lavoratori sono peggiorate al punto che il precariato è l’unica via che la nostra generazione vede davanti a sé: saremo sfruttati per pagarci uno straccio di pensione privata che ci permetta di smettere di lavorare a settant’anni, il pianeta è stato spremuto a sangue, ci aspetta un futuro di catastrofi naturali e pandemie e, come se non bastasse, da febbraio abbiamo scoperto che ogni Stato imperialista si sta massivamente riarmando come non mai. Cosa provate leggendo queste righe? Ansia, appunto. Il capitalismo al giorno d’oggi è la società dell’ansia: una società in cui, a fronte delle peggiori condizioni oggettive sopra indicate, a ognuno sussurra - e a volte grida - nella testa una voce inquietante, che è la voce della competizione, dell’obbligo di realizzarsi, di essere perfetti e sorridenti, perché è così che ci hanno detto in televisione fin da bambini, è questo che vediamo ogni giorno sui social. Problemi che possono essere risolti solo da un’azione collettiva e che, in solitudine, non si riescono a distinguere e assumono la forma di un fantasma, sempre pronto a colpire, nascondersi e ritornare.
Il legame viscerale con la concretezza del capitalismo si nota al volo leggendo le statistiche: le donne hanno prevalenze doppie di ansia e depressione e proprio tra loro l’incremento pandemico è stato maggiore: + 30% contro il 24% maschile per l’ansia, 28% contro il 21% per la depressione (8); il rischio medio per le due condizioni è doppio per chi ha salari sotto i 15mila € all’anno ed è triplo per i disoccupati.

 

Le risposte di un sistema che non può garantire salute mentale

La stessa psichiatria, branca di medicina di competenza per questi disturbi, non può che brancolare nel vuoto. Regolarmente vengono approvati nuovi farmaci ansiolitici, ma soprattutto antidepressivi: essi ormai sono varie decine, appartenenti ad almeno 12 classi diverse. Nonostante questo, negli Stati Uniti d’America, le depressioni resistenti al trattamento (definizione applicata alla mancata risposta ad almeno 2-3 farmaci per un mese o più) sono circa un terzo (9). Inoltre, la depressione viene definita come malattia quasi sempre cronico-recidivante: fondamentalmente, il paziente è dipendente dalla farmacoterapia e, nonostante ciò, è destinato a sviluppare riacutizzazioni periodiche, della durata di settimane o mesi; è un’assoluta rarità la regressione del disturbo al punto tale da dismettere i farmaci.
Perciò, non bisogna fraintendere il calo di persone sintomatiche riportato da alcuni database statunitensi a partire da fine 2020: se l’esplosione di casi nei primi mesi della pandemia ha prodotto degli assoluti picchi, la cronicizzazione di questi esordi ha fatto rientrare i dati, basati appunto sui sintomi, su un livello stazionario comunque superiore a quello pre-pandemico; è cosa ben diversa da una riduzione nella tendenza della diffusione dei disturbi.
La psichiatria, incatenata dalle logiche della scienza borghese, si è addentrata, con l’aumento dei mezzi tecnologici, in una deriva scientista e riduzionista: domina la teoria dello «squilibrio biochimico», sulla base della quale si sono effettivamente brevettati dei farmaci molto migliori dei precedenti tra fine anni ‘80 e primi anni del 2000 (con ancora qualche rilascio di successo, seppur più sporadico, negli ultimi anni), e al suo fianco si è sviluppata una copiosa corrente di studi che studia le correlazioni tra le lesioni strutturali e funzionali del cervello e i vari disturbi sulla base di potenti tecniche di imaging, anch’essa foriera di talune tecniche terapeutiche efficaci, ma spesso utilizzate solo come ultima spiaggia, come la deep brain stimulation.
I disturbi psichiatrici vengono a parole riconosciuti come complesse condizioni multifattoriali, in cui si relazionano in maniera dialettica fattori genetici, biochimici, ambientali, sociali ed esistenziali: questo è vero, poiché il sistema nervoso centrale umano si relaziona e modella la sua forma e le sue connessioni sia in base a predeterminazioni genetiche sia in base agli stimoli ambientali, compresi quelli più puramente sociali, a cui si trova esposto, e a sua volta genera risposte fisiologiche e comportamentali che impattano sulle condizioni di vita dell’individuo. Tuttavia, al di là dei proclami astratti di multifattorialità, l’attenzione - e gl’investimenti - della ricerca psichiatrica si focalizzano soltanto sulla scienza più astratta, isolata dal contesto ambientale, che per gli uomini è fondamentalmente sociale: così, si verifica un fenomeno paradossale: le conoscenze sono sempre di più, ma ciò non ferma l’avanzare della diffusione dei disturbi.
Davanti a questo disaccoppiamento tipico del capitalismo, l’altra risposta ideologica, che prende sempre più piede, è quella della normalizzazione del problema. Una risposta nichilista, figlia sana di un sistema impotente, che avanza la giusta richiesta della rimozione dello stigma su queste condizioni ormai così comuni; tuttavia, in assenza di uno spazio terapeutico concreto, di una possibilità reale di una soluzione di questi problemi, la rimozione dello stigma diventa quasi sempre solo un’accettazione del dato di fatto. Un dato che, però, non è in realtà un aumento percentuale, ma è sofferenza carnale, giornate inchiodate sul letto, giovani vite in bilico sulla ringhiera del balcone.
Ed è così che per intere fasce di popolazione, soprattutto per quelle giovani, ben oltre le statistiche delle diagnosi, è normale utilizzare ansiolitici e antidepressivi: dati del 2019 pubblicati recentemente evidenziano una crescita dell’uso dei secondi in un decennio dall’8% al 13% in Portogallo e dall’8% al 10% nel Regno Unito, giusto per citare gli esempi maggiori (10). L’Italia al tempo rimaneva indietro, ma ora pare recuperare il gap storico: dai report sul campo dei farmacisti, la quantità di persone che si reca a un banco per ottenere rimedi ansiolitici o antidepressivi è aumentato di un terzo negli ultimi due anni, del 15% è aumentato l’uso di benzodiazepine.

 

Tutto questo è inaccettabile

Solo un anno fa, nel novero delle voci degl’investimenti del Pnrr, la salute mentale veniva completamente dimenticata. Ad oggi, l’unica istanza messa in moto da questo governo è il bonus psicologo, un massimo di 600 € (ma scalati in base alle fasce Isee e riservati a una platea di sole 16000 persone) da spendere in servizi privati: ad essere molto ottimisti, un tampone di 10 sedute, che arricchisce ancor di più il privato e sembra dire che un servizio pubblico di salute mentale in Italia è impossibile. Anche l’illusione lombarda dello psicologo di base, agganciato al sistema delle Case di Comunità, immaginate come hotspot poli-specialistici sul territorio, è niente senza un piano di assunzioni, che al momento non è stato nemmeno preso in considerazione.
È necessario battersi per la rivendicazione di investimenti in servizi specialistici, gratuiti e di qualità per la salute mentale della popolazione. Ed è una battaglia che interessa fortemente alla popolazione, come dimostra il sondaggio Piepoli che riporta che 2/3 degli italiani ritiene necessario lo psicologo di base e 8/10 richiede un’implementazione del servizio a scuola.
Lo si è visto anche nelle occupazioni di questo inverno, in cui la denuncia della difficoltà della situazione e la rivendicazione di azioni concrete per la salute mentale è stata in primo piano nelle agende delle occupazioni delle scuole superiori e dei licei italiani.
Proprio da questo possiamo partire a risolvere il problema, con un approccio consapevole che riconosce responsabile generale di questa ondata di disagio mentale un sistema alla rovina e che, a partire da questo, guida una risposta di lotta, che è l’unica che può produrre degli avanzamenti e delle soluzioni, anche parziali: d’altro canto, il disinteresse delle istituzioni nei confronti della questione non può essere più palese.
Tuttavia, non basta battersi per un’attenzione maggiore al problema: prevenire è meglio che curare e l’unica vera prevenzione primaria possibile, in questo caso, è la distruzione rivoluzionaria di questo sistema e la costruzione di una società fondata sui bisogni della maggioranza, il socialismo.

 

Note

1)https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=48198

2)https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0022395619307381

3)https://www.statista.com/statistics/979919/percentage-of-people-with-anxiety-us/

4)https://www.unicef.it/media/salute-mentale-nel-mondo-piu-di-1-adolescente-su-7-disturbi-mentali/

5) https://www.youtube.com/watch?v=0JFszctBMMM

6)https://www.dailymail.co.uk/health/article-10515245/Covid-survivors-40-likely-suffer-depression-anxiety-misuse-drugs.html

7)La citazione è contenuta in Dubbi, canzone dell’ultimo album Noi, loro, gli altri.

8)https://24plus.ilsole24ore.com/art/ansia-e-depressione-cosi-pandemia-colpisce-donne-AEKgK2z

9)https://www.psychiatrist.com/jcp/depression/prevalence-national-burden-treatment-resistant-depression-major-depressive-disorder-in-us/#:~:text=With%20a%20commonly%20used%20definition,of%20the%20US%20adult%20population

10)https://www.openpolis.it/in-europa-crescono-le-cure-farmacologiche-contro-ansia-e-depressione/

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