Partito di Alternativa Comunista

Covid e guerra in Ucraina: il capitalismo al collasso

Covid e guerra in Ucraina: il capitalismo al collasso

 

 

 

di Alberto Madoglio

 

«Non è finita finché non è finita». Questa frase, attribuita a un famoso giocatore di baseball italo americano attivo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, viene spesso utilizzata per dire che non bisogna mai né darsi per vinti né gioire per un risultato che pare prossimo ma che non è stato ancora ottenuto.
Ai giorni nostri questo potrebbe essere il mantra da utilizzare per la pandemia di Covid-19.

 

Una normalità lontana da venire

Negli ultimi mesi, specie nei Paesi imperialisti, ha avuto ampio risalto una narrazione volta a far credere che il peggio riguardo il flagello virale, che ha colpito l’umanità negli ultimi due anni, fosse ormai alle spalle. Ci si è impegnati, da parte di politici e mass media al servizio della borghesia, nel sostenere che il Coronavirus presto si sarebbe trasformato in una innocua influenza stagionale, grazie in particolare al successo, almeno nei Paesi più economicamente sviluppati, della campagna vaccinale.
A supporto di questa tesi, nel tempo le varie misure prudenziali (mascherine, assembramenti, isolamenti sia per i positivi che per i contatti stretti) sono state in alcuni casi allentate o eliminate. Questo sostanziale «liberi tutti» è stato deciso in barba a ogni evidenza scientifica, solo per consentire alle imprese di tornare a produrre a pieno regime, e ai capitalisti di riprendere a macinare guadagni, dopo due anni di grandi difficoltà, nonostante la parziale ripresa economica seguita al crollo del 2020.
Tuttavia le cose, almeno in questo campo, non seguono i desiderata dei padroni. A causa del basso tasso di vaccinazione a livello globale (solo il 66% ha avuto almeno una dose e circa il 60% ha completato il ciclo vaccinale) (1), il virus continua a circolare. La Cina pare sia tornata ad essere il focolaio più importante, sia per le percentuali di popolazione vaccinata sia perché il vaccino somministrato alla popolazione (Sinovax) ha un’efficacia molto bassa.
L’immediato futuro non promette nulla di buono. Negli Usa si prevede che il prossimo autunno 100 milioni di cittadini (poco meno di un terzo della popolazione) sarà infettata. Per l’Italia la situazione non dovrebbe essere diversa. Il presidente dell’Aifa (agenzia italiana del farmaco) il 9 maggio si mostrava preoccupato per l’alto numero di contagi, dovuti all’emergere di varianti sempre più aggressive (2), mentre il 16 maggio è apparsa la notizia che alcuni enti regolatori internazionali sono preoccupati per l’alto numero di persone che, una volta guarite, si reinfettano, un fenomeno che nei prossimi mesi dovrebbe colpire a catena tutta Europa (3).
Questa situazione già da subito sta impattando sulle prospettive di crescita dell’economia mondiale. La decisione presa dal Partito comunista cinese di imporre duri lockdown per limitare i contagi ha avuto effetti immediati: oltre 300 milioni di cittadini sono stati confinati nelle loro abitazioni e nel mese di aprile il porto di Shanghai, maggior terminal container del pianeta, è arrivato a contare più di 500 navi bloccate nella rada, oltre il doppio di quelle che erano ferme nelle primavera del 2020.
A questa situazione, si devono sommare gli effetti della aggressione militare della Russia all’Ucraina. In seguito approfondiremo alcune valutazione politiche sul tema, ora vogliamo concentrarci sulle conseguenze economiche causate dagli eventi bellici. Tre mesi di ostilità hanno già avuto pesantissimi effetti sulle previsioni di crescita e cominciano anche a determinare esplosioni e conflitti sociali, che per ora riguardano economie di Paesi dipendenti, ma nulla esclude, anzi è quasi certo, che, se le ostilità non dovessero terminare a breve e la situazione economica dovesse continuare a peggiorare, anche le nazioni al centro dell’economia imperialista saranno teatro di aspri conflitti sociali. Come per il Covid, la guerra non fa altro che amplificare una tendenza al rallentamento della crescita già presente da tempo, almeno dalla fine del 2019.

 

Inflazione alle stelle

Al momento, quindi, il quadro è il seguente: si sta verificando una crescita del tasso di inflazione come non  si vedeva da decenni (6% in Italia per arrivare al 10% del Regno Unito). Ciò a causa di quello che si chiama shock dell’offerta, ossia il fatto che, a causa della caduta tendenziale del tasso di profitto, le imprese capitaliste negli ultimi decenni hanno ridotto gli investimenti nel settore produttivo, quindi oggi si trovano in difficoltà nel soddisfare la domanda dei consumatori (rimbalzata dopo i blocchi pandemici del 2020/21).
Per tentare di bloccare la tendenza al rialzo dei prezzi le banche centrali stanno decidendo, o hanno già deciso, di alzare il costo del denaro preso in presto dalle imprese. Questa decisione può causare una serie di fallimenti a catena, in particolare per le cosiddette aziende zombie, cioè quelle imprese che riescono a continuare la loro attività grazie ai tassi sostanzialmente nulli di questi ultimi decenni. Non solo: questo genere di decisioni rischia di ridurre ulteriormente gli investimenti produttivi, peggiorando il quadro economico complessivo, senza riuscire a sconfiggere la spirale inflattiva.
Per la zona euro, la Commissione di Bruxelles prevede una crescita del Pil al 2,7% e al 2,3% per il prossimo anno, in calo rispetto a precedenti previsioni (4% e 2,7%). Per l’Italia le stime per l’anno in corso si fermano al 2,4%. Bisogna precisare però che una crescita del 2,2% è data dall’effetto trascinamento del 2021 (ossia la forte crescita dello scorso anno), quindi il Paese sarà nei fatti in stagnazione.
La Cina crescerà del 4,2%, negli Usa la crescita dovrebbe essere di poco superiore al 3%.
Un quadro senza dubbio a tinte fosche, che potrebbe ulteriormente deteriorarsi nel caso il conflitto dovesse estendersi, temporalmente e/o geograficamente. Nello Sri Lanka da oltre un mese la popolazione si sta mobilitando contro il governo e gli apparati repressivi dello Stato, per ribellarsi a una disastrosa situazione economica precipitata nelle ultime settimane. L’inflazione è arrivata al 40%, il debito estero ammonta a 5 miliardi di dollari e il Paese è a un passo dal default.
In Africa si sta assistendo a una vera e propria guerra per il pane. Secondo un missionario cattolico, 32 nazioni su 54 del continente dipendono fortemente da Ucraina e Russia per le importazioni di cereali, e le forniture sono al momento bloccate nei porti del Mar Nero e di Azov. La Fao stima che circa 340 milioni di abitanti dell’area sub-sahariana siano in una situazione di grave rischio alimentare (4).
In Iran, Paese duramente colpito da anni di sanzioni economiche imposte dall’imperialismo, il governo ha cancellato i sussidi per il grano, dando vita a quella che viene chiamata la rivolta della pasta (5). Negli anni le masse iraniane hanno dimostrato periodicamente una grande propensione alla lotta, sfidando frontalmente la brutale repressione del regime degli ayatollah. La violenza statale ha sempre avuto la meglio, ma non è riuscita nell’intento di fiaccare definitivamente la resistenza popolare. Anzi è probabile che sia avvenuto il contrario, cioè che sia il regime a essere fiaccato e quindi meno pronto ad affrontare vittoriosamente nuovi tumulti di massa.

 

Equilibri tra potenze e resistenza popolare ucraina

Per quanto riguarda la guerra di aggressione all’Ucraina, tralasciando per il momento le sbalorditive affermazioni di chi sostiene che la Russia, con la sua azione militare, starebbe in qualche modo lottando in nome e per conto degli oppressi di tutto il mondo opponendosi alle mire aggressive dell’imperialismo occidentale, e che le armate di Putin sarebbero una versione 2.0 dell’Armata Rossa all’epoca della seconda guerra mondiale, la domanda centrale da porsi è la seguente: è possibile avere sugli avvenimenti in corso un approccio non solo indipendente ma anche in totale contrapposizione alla politica dell’imperialismo pur schierandosi nel campo militare della resistenza ucraina, che al momento è diretta da un governo succube delle ambizioni delle grandi potenze capitaliste guidate dagli Stati Uniti? Noi crediamo di sì.
Ci sono diversi conflitti nel conflitto ucraino. Da un lato lo scontro tra una potenza in seria difficoltà, la Russia, che tenta di allargare la propria sfera di influenza per superare la propria crisi e riconquistare uno status di grande potenza. Dall’altro lato le vecchie potenze imperialiste che, al di là delle dichiarazioni pubbliche, erano propense ad accettare una spartizione dell’Ucraina per mezzo della forza (vanno ricordate le affermazioni di Biden riguardo l’accettazione di una piccola invasione russa nel territorio di Kiev, il trasferimento delle ambasciate a Leopoli, nell’ovest del Paese, quando la capitale era ben lontana dal capitolare, così come la proposta fatta a Zelensky di formare un governo in esilio).
Il corso degli eventi, dovuti in prima ragione all’enorme resistenza popolare ucraina, ha modificato i piani dell’imperialismo e creato visioni differenti tra le due sponde dell’Atlantico. Nel nuovo quadro, Usa e Gran Bretagna vogliono assestare un colpo mortale a Mosca, in modo da eliminare per sempre un pericoloso avversario e allo stesso tempo riconfermare il loro predominio in Europa. Per ragioni opposte Germania, Francia, e in parte Italia (che al momento pare ondeggiare tra Washington-Londra e Berlino-Parigi) sono più propense ad arrivare a un accordo con Putin, sulla testa dei lavoratori ucraini.
In tutto ciò abbiamo la crisi profonda del regime di Kiev, per il momento mascherata dalla continuazione della guerra. Tutti gli oligarchi (capitalisti) ucraini, insieme a una parte consistente dei deputati della Rada (il locale parlamento) sono stati tra i più lesti ad abbandonare il Paese.
Al momento è l’esercito regolare che si è assunto il compito non solo della difesa militare, ma anche quello del mantenimento dell’apparato statale borghese, tuttavia non è detto che questa situazione possa andare avanti per molto. Il grande afflusso di volontari, operai e lavoratori prima di tutto, che vogliono arruolarsi, da un lato rafforza la resistenza, dall’altro preoccupa chi vede in questo entusiasmo pericoli per un ritorno alla normalità quando le ostilità saranno in qualche modo terminate. A tal proposito molti commentatori testimoniano come da parte del governo e dello Stato Maggiore si disincentivi l’arruolamento di massa, consapevoli che centinaia di migliaia o milioni di lavoratori armati un domani non accettino più gli ordini ufficiali ma comincino a organizzarsi in maniera autonoma e in opposizione al regime.
Al momento Zelensky e il governo godono ancora del supporto della stragrande maggioranza della popolazione, anche se forme embrionali di auto-organizzazione, specialmente in aree dove lo Stato nei fatti si è dissolto, cominciano ad apparire. Il caso più emblematico è quello dell’acciaieria Accelor Mittal di Kryviy Rih occupata dagli operai (conta oltre 20.000 lavoratori) che hanno creato una guardia armata di oltre 1000 proletari per difenderla dagli attacchi delle truppe russe, e che un domani difficilmente saranno disposti a restituirla a chi è fuggito in fretta e furia (6).
Se è normale che una notizia simile non appaia sui mezzi d’informazione borghesi, interessati a esaltare le gesta del battaglione filo-nazista Azov, meno normale dovrebbe essere un atteggiamento simile sostenuto da forze che si definiscono di sinistra. In realtà in molti casi queste organizzazioni vanno ben oltre, per quanto riguarda la confusione e la disinformazione sulle vicende ucraine.

 

La sinistra che non comprende la posta in gioco

Rifondazione Comunista, come al solito, è quella che guida il coro di chi non comprende la posta in gioco. Forse per cancellare il ricordo del vergognoso appoggio dato a due governi pro-imperialisti dal Partito di Acerbo e Ferrero all’epoca dei due governi Prodi (nel secondo Ferrero fu anche ministro), oggi tentano di rifarsi una verginità politica assumendo una posizione che nel loro intento dovrebbe apparire di coerenza antiimperialista: in realtà rappresenta una totale capitolazione alla propaganda filo russa, arrivando fino a giustificare, certo non esplicitamente, l’aggressore (7).
In una posizione più defilata, ma non per questo meno pericolosa politicamente, ci sono due organizzazioni che, inspiegabilmente, affermano di appartenere al variegato movimento trotskista, Sinistra Classe e Rivoluzione e il Partito comunista dei lavoratori.
La prima, dopo aver sostenuto il fantomatico «socialismo del XXI secolo» (copyright Chavez-Maduro) e applaudito alla repressione del regime cubano contro le proteste di migliaia di cittadini che si opponevano alle politiche di austerità poste in essere dalla cricca restaurazionista di Raul Castro e soci (spacciati come difensori dello Stato operaio sorto dalla rivoluzione del 1959, quando ormai da decenni si è trasformato in un sistema a economia di mercato tout court), oggi a parole sostiene una posizione di equidistanza tra Mosca e Kiev. Nei fatti però il loro cuore batte per il Cremlino, come si evince da un articolo vergato dal leader della loro corrente internazionale Alan Woods, che rimarrà come eterno marchio di vergogna per la loro organizzazione (8).
Il Pcl assume una posizione apparentemente a sostegno del popolo ucraino. A un’analisi più attenta si nota però come anche in questo momento la confusione che caratterizza questa organizzazione ritorni a galla, col rifiuto di rivendicare esplicitamente l’invio di armi alla resistenza ucraina e con l’ammiccare alle rivendicazioni del Cremlino, riconoscendo un fantomatico diritto all’autodeterminazione di Crimea e Donbass (cioè la loro consegna alla Russia con lo smembramento dell’Ucraina: ciò che oggi potrebbe accettare anche Putin per aver incontrato una dura resistenza). Dimenticano che i rivoluzionari sono per il diritto all’autodeterminazione per le nazionalità oppresse, ma nel caso del Donbass si tratta di una rivendicazione usata strumentalmente da uno Stato oppressore con ambizioni di dominio su altre entità nazionali (nel caso in questione va inoltre rammentato che in quelle zone la maggioranza di etnia russa si è venuta a creare a causa delle criminali politiche di deportazione e reinsediamento di popolazioni, condotte dalla burocrazia stalinista dagli anni Trenta del XX secolo in avanti). Con questo metodo dovremmo riconoscere il diritto all’autodeterminazione della popolazione di origine inglese e scozzese che abita le contee nel nord dell’Irlanda quando in realtà è palese che si tratta della volontà dell’imperialismo britannico di mantenere la propria influenza diretta sull’isola di smeraldo…

 

Tra filo-putiniani e sostenitori della Nato: la terza via dei rivoluzionari

La vittoria della resistenza ucraina avrebbe un’importanza straordinaria per lo sviluppo della lotta di classe internazionale. Sarebbe un colpo mortale per il regime in Russia, limitandone la capacità di svolgere, come all’epoca zarista nel XIX secolo, il ruolo di gendarme della contro-rivoluzione in parte dell’Europa e in altre aree sotto la sua influenza. Inevitabilmente darebbe nuova linfa alle rivendicazioni e mobilitazioni rivoluzionarie in Kazakistan e Bielorussia (in questo satellite di Mosca già oggi si assiste ad atti di boicottaggio da parte di ampi settori proletari contro le truppe russe che usano quel territorio come retroterra per la logistica militare).
Potrebbe dare un impulso alla ripresa delle lotte anche tra i proletari dei Paesi imperialisti, a partire da quelli del Vecchio Continente, che cominciano ad accusare sulla loro pelle il costo del conflitto, mentre le multinazionali continuano a macinare profitti come non mai.
E anche il regime pro imperialista di Zelensky potrebbe avere i giorni contati, anche a causa delle leggi liberticide e antioperaie che non ha esitato a varare nonostante il conflitto in corso e nonostante il prezzo più grande in termini di morti, sacrifici e distruzioni lo stiano patendo i proletari ucraini.
Quello che la Lit Quarta Internazionale e il nostro partito propongono non è una politica dei due tempi, prima la vittoria e poi la rivoluzione. È il tentativo, seppur in un quadro difficile, di costruire la direzione conseguentemente classista e rivoluzionaria al regime di Zelensky, cominciando a costruire attività di propaganda in tal senso sia tra le truppe dell’esercito ucraino regolare sia tra le piccole unità autorganizzate che a fatica si stanno formando nel Paese.
Il successo di un’azione rivoluzionaria indipendente della classe operaia ucraina è la sola garanzia sulla quale si possa costruire un futuro degno per le popolazioni di quella regione, e il solo antidoto per evitare un futuro conflitto che veda l’intervento diretto dell’imperialismo col conseguente rischio di un terzo conflitto mondiale.

 

 

Note

1) Aggiornamento di maggio 2022, https://ourworldindata.org/covid-vaccinations

2) https://www.open.online/2022/05/09/covid-19-vaccini-quarta-dose-settembre-palu/

3) https://www.open.online/2022/05/16/covid-19-reinfezioni-cosa-sono-vaccini-galli/

4) https://www.rainews.it/articoli/2022/05/africa-la-guerra-del-pane-intervista-a-padre-elio-boscaini-bc233879-4656-4f29-8654-5bf5a2b584e3.html

5) https://www.repubblica.it/esteri/2022/05/18/news/iran_proteste-350158660/

6) http://www.laboursolidarity.org/Steelworkers-in-Germany-and?lang=fr

7) (Paolo Ferrero: Guerra in Ucraina l’Europa stacchi la spina prima che sia troppo tardi. 20 maggio)woodsw

8) https://www.rivoluzione.red/la-guerra-in-ucraina-realta-e-finzione/

 

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