Contro la “moratoria" sull’aborto
difendiamo
l’autodeterminazione delle donne
La goccia cinese
dell’attacco dei due poli alla legge194
di Pia Gigli (*)
L’attacco cattolico integralista all’aborto
prosegue, e stavolta si è espresso attraverso il guerrafondaio Ferrara direttore
de Il Foglio che lo scorso dicembre, dalle pagine del suo giornale, ha
proposto una campagna per la "moratoria" dell’aborto, sulla scia
dell’approvazione da parte dell’Onu della moratoria sulla pena di morte.
L’iniziativa di Ferrara, dal forte risvolto mediatico (con tanto di sciopero
della fame, presentazioni pubbliche, costituzione di comitati, lettera all’Onu)
ha ricevuto lo scontato plauso delle gerarchie cattoliche -Ruini, Bagnasco e
Benedetto XVI- le quali, in accordo con il principio di fondo secondo cui
l’aborto sarebbe un omicidio, non hanno però attaccato frontalmente la legge
194, coscienti che non sono mature le condizioni politiche per abrogarla, ma con
accenti diversi hanno inserito nel dibattito pubblico elementi che tendono a
svuotare la 194.
Le posizioni espresse dalle gerarchie
cattoliche hanno oscillato tra richieste di “modifica” e richieste di
“revisione” della 194, per indurre il governo a emanare provvedimenti che
applichino quelle parti delle legge ritenute, a loro dire, “disattese” e che
riguardano la “prevenzione” dell’aborto. L’intento è di rafforzare le condizioni
di “dissuasione” rispetto alla decisione di abortire. L’obiettivo storico di
cancellare la legalizzazione dell’aborto in questi ultimi anni è stato sempre
più perseguito con tentativi costanti di depotenziamento della legge 194
attraverso: la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita che ha
riconosciuto all’embrione statuto giuridico; il finanziamento e il
riconoscimento del ruolo delle associazioni antiabortiste nei consultori e negli
ospedali; i provvedimenti della regione Lombardia per la sepoltura dei feti
abortiti; l’attacco all’uso della pillola abortiva Ru486 in alcuni ospedali; e
l’istigazione da parte del papa all’obiezione di coscienza dei farmacisti alla
vendita della “pillola del giorno dopo” ..
Ma cosa si scorge
dietro le manovre dell’“elefantino”?
Con la sua uscita propagandistica Ferrara si
fa strumento del potere vaticano su due obiettivi. Da una parte -con il fine
esplicito di ridurre l’applicazione della legge 194- vuole creare e alimentare
il senso comune che vede l’aborto come un omicidio, per criminalizzare le donne,
considerate delle assassine, e gli operatori sanitari che praticano l’aborto.
Dall’altra vuole entrare pesantemente nelle contraddizioni interne al
centrodestra e al centrosinistra e, in particolare, a quelle interne al Partito
Democratico nel quale sono più forti i conflitti tra i cosiddetti “laici” e gli
autentici clericali. Proprio in questi giorni nel Pd si sta discutendo la bozza
di “Manifesto dei valori” dove si riconosce “(…) a rilevanza della sfera
pubblica e non solo privata delle religioni”. Il Pd e il suo segretario Veltroni
devono dimostrare ai poteri ecclesiastici attendibilità, affidabilità e la
compiuta normalizzazione dei conflitti tra anime laiche e cattoliche. La
"teodem" Binetti. che in un primo momento aveva dato la sua disponibilità a
votare una mozione parlamentare di Bondi per la redazione di linee guida per la
194, in seguito ha potuto fare marcia indietro quando il Pd -al fine di
scongiurare il rischio di maggioranze trasversali (come è avvenuto nella
votazione sul pacchetto “sicurezza”) pericolose per la tenuta del governo- ha
assicurato che nel partito le posizioni dei teodem, in qualche modo, sarebbero
state “rispettate”. Veltroni, chiamato direttamente in causa da Ferrara con una
lettera, apre al dialogo e dichiara: “la 194 va difesa perché è una conquista di
civiltà ma l’aborto non è un diritto assoluto, ma un dramma da contrastare”.
Altri settori ex Ds sono disponibili ad aggiornare la 194, perché “vecchia di 30
anni” ecc. La ministra Turco che si fa paladina della difesa della legge 194
dicendo che “non si tocca” e che non ha fatto nulla, non diciamo per abolire
l’indegna legge 40, ma neanche per modificarla in parte, oggi promette
provvedimenti amministrativi che tendono a limitare l’aborto terapeutico e a
rendere più complicato l’uso della pillola abortiva Ru486, in ossequio alle
richieste di monsignor Ruini.
I primi sostegni concreti alla
moratoria
Un altro effetto della proposta di moratoria
di Ferrara è stata l’immediata scesa in campo del governatore Formigoni che ha
garantito l’approvazione in consiglio regionale di linee guida per tutti gli
ospedali della regione dove si praticano aborti. Tutti gli ospedali dovranno
adottare i codici di autoregolamentazione adottati dagli ospedali Mangiagalli e
S. Paolo di Milano secondo i quali viene stabilito un limite di tempo di 21 o 22
settimane entro il quale può essere praticato l’aborto terapeutico (la 194 non
ne fissa ) e si istituisce, al posto di un solo ginecologo, un’equipe di medici
(tra i quali c’è uno psichiatra) che certifica la necessità dell’aborto
terapeutico. Ciò, in realtà, renderà più forte il potere di controllo degli
operatori sanitari sulla decisione della donna. Si stabilisce inoltre il divieto
di aborto selettivo (per gravidanze plurime) in assenza di problemi di salute
della donna. Alla proposta di Formigoni la ministra Turco non si mostra in
disaccordo con le linee guida lombarde, ma rivendica piuttosto in capo al suo
ministero la facoltà di emettere tali linee guida.
Inoltre, Formigoni ha già
permesso un pesante intervento dei centri di aiuto alla vita negli ospedali
lombardi che, finanziati con fondi pubblici, si occupano di assistere
economicamente le donne che “scelgono” di non abortire, con 160 € mensili per un
anno e mezzo, pannolini per un anno, carrozzine e passeggini.
La Regione
Veneto sta per votare una proposta di legge che apre la porta dei consultori ai
Centri di aiuto alla vita che si impegneranno nell’opera di “dissuasione” tanto
cara agli antiabortisti e che prevede addirittura sanzioni a chi impedisce la
loro azione.
Come si vede il centrodestra è pronto a rispondere con i fatti
ai diktat del Vaticano. Ma il processo di maturazione di una più profonda
subordinazione del Pd ai poteri vaticani evidentemente non fornisce ancora
garanzie sufficienti, come è dimostrato da alcuni recentissimi episodi. Primo:
le “bacchettate” del papa di qualche giorno fa, ai governi di centrosinistra
Veltroni-Gasbarra-Marrazzo del Lazio che, nonostante finanzino abbondantemente
parrocchie, cliniche e scuole cattoliche -con Veltroni che impedisce la
discussione di una delibera di iniziativa popolare di istituizione di un
registro delle unioni civili- sono state accusate dell’aumento della povertà e
dell’insicurezza a Roma. Secondo: gli attacchi della santa sede al governo
ritenuto responsabile di non aver garantito l’intervento all’Università di Roma
di Ratzinger in occasione dell’apertura dell’anno accademico. Terzo: le
dichiarazioni di Bagnasco all’apertura del consiglio episcopale del 21 gennaio.
Dichiarazioni non nuove, ma che stavolta non rispettano il “travaglio” del Pd
sui temi etici e usano un tono ultimativo e pesantissimo che sembra dettare il
programma di un “nuovo governo” (e proprio il 21 gennaio Mastella esce dalla
maggioranza di governo). Oggi Bagnasco può affermare spudoratamente che la legge
194 è “abominevole”, che il Movimento per la vita ha il grande merito di aver
per trent’anni combattuto l’aborto (in realtà ha solo contrastato la legge 194
che ha sconfitto l’aborto clandestino e di classe) e perciò i suoi “centri di
aiuto alla vita” devono essere finanziati con i fondi previsti dalla legge 194,
che la chiesa sostiene la “famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una
donna” e sono inaccettabili la regolamentazione delle coppie di fatto, le unioni
civili e il divorzio breve.
Occorre una
mobilitazione
Il movimento delle donne, dopo la grande
manifestazione del 24 novembre, insieme con il movimento dei lavoratori, con i
collettivi femministi e glbt deve combattere il mai cessato, e oggi
pesantissimo, attacco delle gerarchie vaticane ai diritti civili, alla autonomia
delle donne, a una sessualità libera e consapevole.
Non è sufficiente
rispondere, come è emerso in alcuni interventi dell’assemblea del 12 gennaio,
che il movimento delle donne non vuole sottostare all’agenda politica dettata da
un Ferrara qualsiasi. Occorre scendere di nuovo in piazza, a cominciare dalla
manifestazione No Vat del 9 febbraio, contro tutti i governi borghesi sia di
centrosinistra sia di centrodestra, ugualmente proni ai diktat vaticani, per
difendere il diritto all’aborto, a una sessualità libera contro ogni forma di
controllo delle menti e dei corpi da parte della Chiesa e dello Stato
borghese.
(*) Coordinatrice Commissione Femminile del
PdAC