Il Coronavirus e il socialismo. Faq
a cura del Dipartimento sindacale del Pdac
In queste settimane molto è stato detto e scritto sul Coronavirus. Vogliamo contribuire anche noi al dibattito con queste Faq, cioè con domande e risposte. Non ci soffermiamo sugli aspetti che riguardano il campo medico e sanitario. Ci poniamo piuttosto due scopi: 1. evidenziare le responsabilità specifiche del sistema capitalistico (e dei suoi governi) nella genesi e cattiva gestione dell’emergenza; 2. spiegare ai lavoratori, ai disoccupati, agli studenti quale sarebbe l’approccio, in casi simili, di un sistema economico e sociale differente, quello per cui ci battiamo: il socialismo.
Il fatto che il Coronavirus si sia sviluppato inizialmente in ambienti poveri ha a che vedere col sistema capitalista?
Sì, il sistema capitalista da sempre costringe in una condizione di povertà assoluta la maggior parte della popolazione mondiale. Ricordiamoci che oggi poco più di 2000 capitalisti detengono nelle loro mani più di quanto posseggono, nel loro complesso, 4.6 miliardi di persone. Un 50% della popolazione mondiale possiede meno dell’1% della ricchezza mondiale. I Paesi capitalistici più ricchi, quelli che noi chiamiamo imperialisti, hanno letteralmente saccheggiato – e continuano a saccheggiare - interi continenti: l’Africa, l’America Latina, gran parte del continente asiatico. In ampie regioni del mondo le grandi multinazionali europee e nordamericane si sono appropriate di materie prime e hanno sfruttato manodopera a basso costo nei Paesi poveri. Anche la Cina, sebbene sia una potenza emergente che a sua volta cerca di assoggettare regioni più povere, è stata e in parte è ancora un territorio sfruttato dalle multinazionali e dalle aziende capitaliste dei Paesi imperialisti. Non dobbiamo poi stupirci se tra queste popolazioni povere, super sfruttate, affamate, che vivono in condizioni igieniche disumane, si creano situazioni che agevolano la diffusione di virus come questo. Dobbiamo anche aggiungere che, anche nei Paesi occidentali, i governi capitalisti, con le politiche di austerity, hanno tagliato decine di migliaia di posti letto negli ospedali, chiuso e privatizzato migliaia di cliniche, tagliato i fondi per la ricerca, soprattutto quella che non era ritenuta utile per gli interessi delle multinazionali del farmaco (il che spiega anche perché nel 2020 siamo così in difficoltà a trovare cure e vaccini per il Coronavirus). Tutto ciò è avvenuto perché hanno preferito sacrificare la salute pubblica per regalare miliardi alle banche e ai ricchi azionisti.
Nel socialismo quindi l’epidemia di Coronavirus non sarebbe iniziata?
Di una cosa siamo certi: la povertà estrema sempre nella storia ha favorito la diffusione di epidemie. Il sistema sociale per cui noi ci battiamo, il socialismo, avrebbe la possibilità di debellare la povertà nel mondo. È un sistema in cui alla proprietà privata dei mezzi di produzione (cioè quella delle fabbriche e delle banche) si sostituirà una proprietà collettiva, in una prima fase statale, successivamente – come diceva Marx – si potrà arrivare a una condizione di “liberi produttori associati”. Tutto questo però solo a patto che venga instaurato a livello mondiale. Come ha dimostrato la storia tragica dell’Unione sovietica stalinizzata, se un’economia di transizione al socialismo (come era quella sovietica) resta isolata e non si estende a livello internazionale, si generano brutture storiche come lo stalinismo: per questo, come diceva Trotsky, serve una rivoluzione permanente, che si estenda a livello internazionale. Oggi la povertà di massa deriva essenzialmente dal fatto che pochi ricchissimi miliardari concentrano nelle loro mani la stragrande maggioranza delle ricchezze. Se il proletariato riuscirà, con alla testa il partito rivoluzionario internazionale, a instaurare un’economia socialista a livello mondiale, la povertà potrà scomparire. Questo significherebbe anche maggiori possibilità di stroncare all’origine la diffusione di epidemie.
Il virus ha avuto origine in Cina. Ma la Cina non è un Paese “comunista”?
No, la Cina non è un Paese comunista, né lo è mai stata. All’indomani della seconda guerra mondiale c’è stata una rivoluzione che ha espropriato i capitali privati, si è creato uno Stato operaio e contadino deformato, con le caratteristiche tipiche degli Stati operai degenerati dell’età dello stalinismo. Tutti i poteri sono stati accentrati nelle mani di una casta burocratica (maoista, in questo caso) che ha progressivamente smantellato le conquiste della rivoluzione. Già negli anni Settanta si è arrivati alla restaurazione del capitalismo in Cina: la vecchia burocrazia maoista si è convertita in una nuova classe borghese, che detiene il controllo dei capitali privati cinesi (multinazionali incluse). E’ anche un regime dittatoriale: potremmo definirla una dittatura capitalista. Il fatto che la burocrazia cinese si richiami al comunismo è a nostro avviso un’usurpazione. E’ un’eredità dello stalinismo, che si richiamava al comunismo nel momento in cui stava costruendo un regime che nulla aveva a che vedere col comunismo. Non a caso poi in Russia e negli altri Stati operai degenerati è stato restaurato il capitalismo, nelle sue forme più brutali.
E’ vero che la recessione, in Italia come in altri Paesi capitalistici, sarà causata proprio dal Coronavirus?
No, in realtà il Coronavirus potrà essere solo la causa scatenante, la miccia, di una recessione che stava covando già da tempo nell’economia mondiale. Persino IlSole24Ore, giornale della Confindustria, lo scorso 6 marzo segnalava che già prima dell’esplosione dell’epidemia Covid-19 c’erano segnali che facevano ritenere molto probabile una recessione globale nei prossimi 12 mesi. Diverse avrebbero potuto essere le cause scatenanti: una nuova recrudescenza della guerra dei dazi tra Cina e Usa; l’esplosione della bolla relativa ai debiti contratti dagli studenti per pagarsi l’università negli Usa; il fallimento di un grande istituto finanziario (come avvenne nel 2009 con la Lehman Brotehr); le tensioni fra Paesi produttori di petrolio. Ma la causa principale, strutturale, di una recessione generale, come accade da oltre un secolo, è la caduta del tasso di profitto delle imprese capitaliste. Quando alla caduta percentuale dei guadagni si somma il calo in termini assoluti della massa dei profitti, la storia ci insegna che la recessione è inevitabile. L’economia si trovava da tempo in questa situazione, quindi era solo questione di tempo. Ovviamente, il Coronavirus ora dà un’accelerazione a tutto questo processo.
Le misure economiche prese dal governo italiano, in particolare l’aumento del debito pubblico, avranno delle ricadute sulle vite dei lavoratori e delle masse popolari? Quali?
Senza ombra di dubbio. Già oggi il governo sta prendendo decisioni che avranno come conseguenza l’aumento del debito. È molto probabile che altre seguiranno nelle prossime settimane, con aumenti di spesa via via più consistenti. Per la maggior parte andranno a beneficio del grande capitale ma non possiamo escludere che, finché dura l’emergenza sanitaria, per evitare esplosioni sociali difficilmente gestibili, possano essere presi provvedimenti a favore anche dei lavoratori, seppur parziali e insufficienti. Appena però sarà passata la fase più acuta di questa situazione, fra uno o due anni, un governo borghese, di qualunque colore, presenterà il conto ai lavoratori, chiedendo la restituzione di quanto loro elargito e addebitando anche quanto concesso ai padroni. Le politiche di austerità torneranno con prepotenza all’ordine del giorno. In un’epoca storica come quella che stiamo vivendo, in cui non si vede la fine della precarietà economica, ogni miglioramento anche minimo non può essere mantenuto finché a dominare è la logica del profitto.
Nel socialismo non ci sarebbe il rischio di recessioni o crisi del debito?
Crisi e recessioni economiche, crisi del debito sovrano (cioè dello Stato) non sono concetti astorici assoluti ma situazioni che si verificano in una società divisa in classi e in particolare in quella dominata dal capitalismo. D’altro canto differenti sono state, nella storia, la natura e le forme delle crisi. In epoca pre-capitalistica erano caratterizzate dalla sottoproduzione, causata da fattori esterni al ciclo economico come guerre e carestie. Differenti le crisi nel capitalismo, che assumono la forma di sovrapproduzione in quanto il capitale produce più di quanto necessiti. Non un eccesso assoluto, ma di più di quanto sia necessario all’accrescimento del suo valore. Nel socialismo ciò non sarebbe possibile: lo scopo del sistema economico e sociale non sarebbe la produzione fine a sé stessa, con l’obiettivo di aumentare il capitale, ma il soddisfacimento dei bisogni umani. Non ci sarebbero limiti alla produzione e allo stesso tempo non si dovrebbe necessariamente produrre senza limiti. Sarebbe la società nel suo complesso a decidere cosa, quanto e se produrre. Come scrisse Marx nei Grundrisse: “allora l’unità di misura della ricchezza non sarà il tempo di lavoro (funzionale ad aumentare il capitale, ndr) ma il tempo libero”. Idem per quanto riguarda il debito pubblico. Il denaro in prospettiva sparirebbe o sarebbe limitato solo ad assolvere una mera funzione contabile. Non sarebbe la forma principe in cui si materializza il capitale, che verrebbe soppresso, né il modo in cui si trasferisce il valore. Il debito pubblico, indispensabile al funzionamento di una società capitalista e ulteriore strumento di arricchimento della borghesia ai danni del proletariato, sparirebbe. Di conseguenza sarebbero impossibili le crisi a esso legate.
In Italia, così come in altri Paesi, il governo ha imposto la chiusura delle scuole ma non di altri luoghi di lavoro, ad esempio le fabbriche. Perché?
Perché in una società divisa in classi il governo è espressione della classe dominante, vale a dire la borghesia; il cui interesse è quello di tenere aperte le fabbriche per fare profitti, anche a rischio della vita dei lavoratori. Il sistema capitalistico si basa sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi sul profitto dei capitalisti, che viene prima di tutto, persino prima delle vite umane. Non è un caso che sia stato bloccato ciò che non è direttamente collegato al profitto dei grandi capitalisti e degli industriali: le scuole, le piccole attività artigiane, commerciali e di servizi. Se da una parte il governo può avere interessi materiali a debellare l’epidemia di Covid 19, dall’altra non può opporsi alla grande borghesia in quanto, per dirla con Marx, funge da comitato d’affari della stessa. Ed è per questo, per non impedire i profitti dei capitalisti, che mettono a rischio la vita di centinaia di migliaia di operai e operaie.
I capitalisti approfittano del Coronavirus per difendere i loro interessi, con il sostegno del governo e delle burocrazie sindacali. Quali sono gli esempi più eclatanti?
In generale i capitalisti approfittano di qualsiasi situazione emergenziale per trarre profitti e benefici, è rimasta nella memoria collettiva la telefonata dei due imprenditori compiaciuti, per i futuri affari legati alla ricostruzione, all’indomani del terremoto che colpì l’Aquila nel 2009. Nello specifico, in questi giorni di epidemia virale da Covid-19, ci sono state diverse forme di sfruttamento a proprio vantaggio di una situazione tragica, tra le più eclatanti possiamo annoverare: i licenziamenti, come nel caso di Air Italy che ha approfittato di questa crisi per lasciare a casa 1500 lavoratori; l’abuso smodato dei cosiddetti ammortizzatori sociali, con cui i grandi capitalisti che vogliono imporre la continuità produttiva nei settori a loro proficui, non esitando a socializzare le perdite mettendo in cassa integrazione migliaia di lavoratori (colpendo tra l’altro duramente il loro potere d’acquisto in questa fase di emergenza); il business della paura e dell’emergenza, dove il costo degli acquisti on-line di mascherine e sapone igienizzante è lievitato vertiginosamente e dove l’industria farmaceutica farà profitti miliardari col rilascio di cure e vaccini. In ognuna di queste situazioni il governo è protagonista ed esecutore e le burocrazie sindacali sono complici. Non dimentichiamo che le direzioni di Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto un “Protocollo d’Intesa” con governo e Confindustria che, oltre a prevedere l’utilizzo delle ferie e dei permessi dei lavoratori in caso di chiusura temporanea degli stabilimenti, non impone ai padroni la chiusura delle fabbriche nemmeno in caso di contagi all’interno della fabbrica!
Le fabbriche nel socialismo potrebbero essere chiuse in caso di emergenza come questa?
Nel socialismo, cioè un’economia collettiva sotto il controllo dei lavoratori, senza proprietà privata, i meccanismi di funzionamento dell’economia sarebbero totalmente differenti, perché, come spiega Marx ne Il Capitale, il capitalismo ha bisogno di sfruttare manodopera ai fini del profitto (estorsione del plusvalore o pluslavoro). Nel socialismo, non esistendo il profitto privato, la produzione sarebbe funzionale solamente alla soddisfazione dei bisogni sociali, cioè i bisogni della collettività. Quindi, a parte una fase iniziale di transizione, si potrebbe arrivare a livelli di automazione della produzione molto elevati, con l’impiego quasi esclusivo di macchine e un impiego molto limitato di manodopera umana. In una situazione di emergenza come questa la produzione di beni ne risentirebbe molto meno, essendo in gran parte automatizzata. In condizioni normali, nel socialismo ogni operaio potrebbe lavorare poche ore la settimana e si produrrebbe una ricchezza sufficiente a soddisfare i bisogni di tutti. In condizioni di emergenza come questa, nessun operaio sarebbe messo nelle condizioni di rischiare il contagio nel luogo di lavoro. Si chiuderebbero senza esitazione le fabbriche che producono beni non necessari. Nelle poche fabbriche che sarebbe necessario lasciare aperte (produzione strumenti sanitari e beni di prima necessità) ci sarebbe una drastica riduzione dell’orario di lavoro di ogni operaio (senza penalizzazioni economiche), con assunzione di nuovo personale e, soprattutto, con dotazione di protezioni reali, le stesse protezioni che necessitano i medici che lavorano nei reparti infettivi. Sistemi di protezione che oggi i capitalisti non intendono mettere a disposizione degli operai, perché troppo dispendiosi, quindi penalizzanti per i loro profitti.
Il settore dei trasporti è uno dei più colpiti, come dimostra quello che si annuncia nel trasporto aereo. Di chi sono le responsabilità?
A partire dal settore della sanità, sono molte le contraddizioni e le conseguenze che stanno emergendo da anni di sfrenate privatizzazioni e politiche di austerità: il settore dei trasporti è tra i più colpiti. Il trasporto pubblico locale sta vivendo anni di duri tagli e totale mancanza di investimenti che hanno portato sull’orlo del fallimento importanti aziende di trasporti municipali (Roma, Napoli, Genova ecc.) al solo scopo di giustificarne l’eventuale privatizzazione. Peggiore è la situazione nel settore aereo, dove le liberalizzazioni del mercato hanno permesso la perdita del controllo del comparto da parte dello Stato con la compagnia di bandiera martoriata dalle privatizzazioni e gli aeroporti in mano a grandi gruppi privati che ne intascano i proventi. Poco migliore è la condizione del settore ferroviario dove comunque sono tante le attività terziarizzate, come la manutenzione, e dove la proprietà pubblica di Fs è tutt’altro che una nazionalizzazione al servizio del Paese, ma esprime quel capitalismo di Stato di cui si arricchiscono solo i padroni. Tutto ciò è figlio di decenni di smantellamento perpetrato da governi di ogni colore con la piena compiacenza delle grandi burocrazie sindacali attraverso anche la condivisione delle leggi (ad es. la legge 146/90) che hanno ridimensionato fortemente il diritto di sciopero.
Il governo, per mezzo della Commissione di garanzia degli scioperi e con la collaborazione delle grandi burocrazie sindacali, sta vietando gli scioperi. È veramente una decisione che serve per affrontare l’emergenza sanitaria?
È del 24 febbraio il “fermo invito” della commissione di garanzia attraverso il quale si intimava, a tutte le organizzazioni sindacali, di non indire scioperi nei servizi cosiddetti essenziali. Eravamo alla vigilia dello sciopero generale del settore aereo – aeroportuale che, tra le varie rivendicazioni, poneva all’ordine del giorno proprio la problematica della diffusione e contagio del Covid-19 e la mancanza delle dovute protezione e valutazioni di ridurre l’operativo. Mentre aerei e treni continuano a tagliare quotidianamente il proprio operativo, ai lavoratori si continua a vietare lo sciopero. È chiaro che questo dispositivo governativo, da subito accolto dalla maggioranza delle organizzazioni sindacali, anche alcune “di base”, nulla c’entra con il contenimento della diffusione del virus, ma continua ad essere solamente un atto repressivo contro quei lavoratori che, nel tentativo di tutelare la propria salute, avrebbero utilizzato lo sciopero a loro difesa. Non sarà il blocco degli scioperi a fermare il virus ma il protagonismo dei lavoratori nell’imporre, anche nei servizi essenziali, dei presidi minimi di emergenza e supporto alla collettività.
Come sarebbero i trasporti nel socialismo?
Come tanti altri settori vitali a sostegno e a disposizione della collettività, anche i trasporti nel socialismo sarebbero totalmente pubblici e controllati dagli organismi democratici dei lavoratori senza nessun obbiettivo di lucro. Un’economia pianificata permetterebbe, nei trasporti, il giusto equilibro tra le condizioni di lavoro, il diritto alla mobilità e il rispetto dell’ambiente come anche della salute e sicurezza, sia dei lavoratori che della popolazione. Questo, tra l’altro, permetterebbe di ridurre notevolmente l’inquinamento e l’impatto sull’ambiente. Nessun abitante, anche nel più lontano dei paesini, sarebbe tagliato fuori dal resto del Paese, come anche nessun isolano sarebbe costretto a far ricorso a qualche società privata pronta solamente a lucrare. Proprio l’emergenza del Coronavirus sta facendo emergere ancora di più la necessità di nazionalizzare le principali aziende dei trasporti che, se messe sotto il controllo dei lavoratori, in questa situazione di emergenza potrebbero svolgere il necessario servizio di mobilità al solo scopo di limitare gli spostamenti solo per questioni emergenziali e per i ricongiungimenti familiari, in piena sicurezza e senza fungere da veicolo di trasmissione del virus.
Il Sistema sanitario italiano ha subito negli ultimi anni tagli miliardari e privatizzazioni. Questo contribuisce a trasformare il rischio di contagio in un pericolo per le vite di molte persone?
Nelle epidemie il rischio di contagio è legato a due ordini di fattori: quello biologico, rappresentato dalla complessa interazione ospite/parassita e dalla capacità di diffondersi all’interno delle popolazioni; e quello sociale, che rende più vulnerabili i ceti sociali meno abbienti. Quest’aspetto determina una prima cesura di classe fra borghesia e proletariato. Questo ci fa comprendere come il pericolo di vita, legato alle complicanze polmonari dell’infezione da Covid-19, sia conseguenza non solo di fattori biologici ma anche di fattori sociali, come la presenza e l’efficacia di un sistema sanitario pubblico adeguato alle necessità concrete delle persone. Il Sistema Sanitario Nazionale universale, pubblico e gratuito nacque nel 1978; non fu una graziosa concessione dei capitalisti (che non avevano alcun interesse per esso), ma fu una vittoria delle lotte operaie di quegli anni. All’inizio degli anni novanta i capitalisti, con la complicità delle burocrazie sindacali e dei partiti della sinistra riformista di allora, iniziarono a condurre attacchi contro le conquiste complessive del movimento operaio e ottennero il progressivo depotenziamento del SSN a vantaggio dei privati. Questo ha lasciato le persone in balia di un’offerta sanitaria non proporzionata alle reali esigenze collettive. Questa spoliazione è stata più feroce e cinica nel Mezzogiorno d’Italia, pressoché privo di un sistema pubblico credibile. Adesso assistiamo a caos, disorganizzazione e carenza di posti letto dedicati.
I lavoratori della Sanità sono tutelati?
No. Lo dimostra il fatto che buona parte degli ammalati Covid-19 è data da lavoratori del SSN. Alcuni di essi sono deceduti. Sono state emesse norme attuative pompose ma restano sulla carta perché poco realistiche. Servono, in realtà, a tutelare chi le ha emesse. Alcune esposizioni accidentali sono fatte risalire a disattenzioni individuali. Queste norme, meticolosamente dettagliate, servono per scaricare sul singolo dipendente eventuali responsabilità in seguito ad un possibile contagio. Ad oggi scarseggiano un po’ dappertutto i dpi (dispositivi di protezione); mancano persino le mascherine chirurgiche ordinarie, a bassa efficacia. Di fronte all’ondata epidemica i massimi dirigenti della sanità si sono fatti trovare impreparati. I contratti collettivi e le direzioni sindacali attive fra i lavoratori del SSN offrono il panorama più desolante fra tutti i lavoratori pubblici. I lavoratori del SSN sono zittiti e minacciati. In tutta Italia sono stati emessi regolamenti disciplinari recanti norme vessatorie e intimidatorie contro i lavoratori dipendenti che osassero esprimere in pubblico opinioni dissenzienti. Questi regolamenti sono stati emanati come atto unilaterale dalle Direzioni di ogni Asl presente sul territorio italiano, senza ascoltare i lavoratori o, nella migliore delle ipotesi, sottoponendoli all'esame informale di sigle sindacali compiacenti «firma-tutto». E gli stipendi per gli operativi sono risibili. Quindi ringraziare gli eroi sembra una presa in giro.
Come sarebbe la sanità pubblica in un sistema socialista? Come affronterebbe un’emergenza di questo tipo?
L’assistenza sanitaria in un sistema socialista sarebbe, per definizione, pubblica. Venendo meno la distinzione fra classi sociali una qualche sanità privata non avrebbe senso. Il sistema sanitario socialista sarebbe internazionale, a carattere universale, gratuito ed efficiente, perché non vi sarebbero limiti di spesa se non quelli determinati dai bisogni delle masse. Sarebbe finanziato, diretto e organizzato da organismi centrali di controllo popolare, eletti da consigli dei lavoratori e delle lavoratrici e revocabili in qualsiasi momento: chi ha funzioni di direzione non ha privilegi rispetto agli altri lavoratori. Tali organismi si avvarrebbero della collaborazione di istituti di ricerca scientifica pubblici: nel socialismo questi sarebbero realmente indipendenti perché, sconfitto il capitalismo, non sarebbero sottoposti a pressioni, condizionamenti e ricatti. L’intero sistema sanitario si occuperebbe di ricerca, didattica e assistenza sanitaria individuale e collettiva, sviluppata nelle branche di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Al contrario di quanto avviene adesso nel capitalismo, la prevenzione rappresenterebbe la massima parte dell’impegno attivo della sanità. Improvvise epidemie sono eventi non imprevedibili, indipendentemente dalla loro probabilità. Un sistema pianificato saprebbe prendere in considerazione ogni scenario possibile, anche quello poco probabile, e dispiegare ogni mezzo necessario a non farsi trovare impreparato per quella particolare improvvisa necessità. La corretta informazione pubblica non indurrebbe panico né isteria (oggi visti con compiacenza dal capitalismo a scopo di deterrenza e di pianificazione di speculazioni) ma attenta collaborazione al fine del bene collettivo. L’incredulità che alimenta gli isterismi è dettata oggi dalla scarsa fiducia che il proletariato ripone nelle classi dirigenti. All’emergere di un’epidemia come questa in corso, il sistema sanitario socialista disporrebbe già delle strutture necessarie per farvi fronte con prontezza; ove non lo fossero, sarebbe possibile allestire con ordinata celerità qualunque struttura necessaria, fornita delle strumentazioni idonee.
La salute nei luoghi di lavoro nel capitalismo è tutelata?
Bastano i numeri a raccontarci il perdurante fallimento e la totale incapacità del capitalismo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro: solo in Italia muoiono circa 1300 lavoratori l’anno (una media di tre al giorno). In un sistema economico capitalista qualsiasi spesa improduttiva, come quelle relative alla sicurezza dei lavoratori, qualsiasi rallentamento della produzione, sono un ostacolo che si frappone tra il padrone e il suo profitto. Per questo motivo i padroni cercheranno sempre di eludere le misure necessarie a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, o di incanalarle nella legislazione borghese in modo da renderle compatibili coi loro interessi. La sicurezza sul lavoro è un tema centrale e può essere risolto solo in un ottica di classe, a tal proposito rimandiamo al dossier elaborato dal Fronte di lotta No austerity (consultabile sul sito www.frontedilottanoausterity.
Un governo operaio socialista sarebbe più attento a salute e sicurezza nei luoghi di lavoro?
Sì, poiché ad essere al potere è la classe operaia stessa, un governo operaio socialista non dovrebbe garantire profitti, né deve lucrare sulla forza lavoro degli operai. Nel socialismo la produzione non dovrebbe obbligatoriamente essere inarrestabile ma sarebbe calibrata sulle esigenze dei lavoratori e della collettività; i ritmi di lavoro e la durata dei turni sarebbero compatibili con la sicurezza e la salute dei lavoratori e ogni misura necessaria a proteggere i lavoratori dai pericoli che incontrano nell’attività lavorativa potrebbe essere liberamente presa senza essere subordinata a ragioni di bilancio. Come dicevamo sopra, inoltre, nel socialismo la produzione sarebbe in gran parte automatizzata, cioè affidata ai macchinari: sarebbero pochissime le ore di lavoro necessarie. I lavoratori avrebbero prioritariamente compiti di gestione dell’industria e delle imprese, essendo queste sotto il loro controllo. In prospettiva ogni lavoratore potrà, come diceva Marx, dare secondo le proprie capacità e ricevere secondo i propri bisogni.
La chiusura delle scuole ha effetti sulla vita delle donne lavoratrici, sul personale, sugli studenti?
Ovviamente sì. Viviamo in una società maschilista, dove ben poco i governi hanno fatto per contrastare la subordinazione delle donne. Ora molte donne, sia quelle in coppia sia quelle da sole, si trovano a dover gestire da sole i figli che non possono andare a scuola o al nido. E’ una condizione pesantissima, sia per le madri che continuano a lavorare – che non sanno come gestire i figli – sia per le tante che hanno perso il lavoro (precarie, lavoratrici a contratto di collaborazione, lavoratrici in nero, ecc) e che non hanno nemmeno più entrate per poter sfamare i figli. Non scordiamoci, inoltre, che sono altissime le percentuali della violenza domestica sulle donne. Per molte donne lo slogan “restiamo a casa” significa trovarsi in una situazione pericolosa, con un aggravamento della violenza subita dai coniugi o dai conviventi. Oggi lo Stato non offre alternative alle donne in questa condizione. Una parte del personale scolastico oggi è penalizzato, soprattutto i precari che vivono di supplenze saltuarie e gli educatori assunti dalle cooperative: molti sono già senza lavoro, altri tra poco si troveranno disoccupati (anche qui stiamo parlando di manodopera in gran parte femminile). Infine, sono ovviamente penalizzati gli studenti, che non possono più fruire come prima di un diritto importantissimo: il diritto all’istruzione. La didattica a distanza non sostituisce la didattica in presenza, soprattutto considerando i tagli miliardari che le scuole hanno subito negli anni: gli edifici sono fatiscenti, le dotazioni tecnologiche, pure, figuriamoci se ci sono i mezzi per attivare una didattica a distanza di qualità! Tantissimi studenti non hanno nemmeno un computer né un collegamento internet a casa: i loro genitori non possono permetterselo.
Come sarebbero l’educazione e l’istruzione nel socialismo? come verrebbero organizzate in una situazione di emergenza di questo tipo?
Nel socialismo le grandi potenzialità produttive dell’industria contemporanea, anziché essere utilizzate per arricchire pochi Paperoni, sarebbero utilizzate per potenziare il sistema dei servizi pubblici, quindi anche la scuola e in generale il sistema educativo e dell’istruzione. Questo significa che l’istruzione pubblica avrebbe risorse enormi, che permetterebbero di mettere in atto una didattica a distanza di grande qualità. Anzitutto, l’amministrazione pubblica garantirebbe a ogni studente (e insegnante) la possibilità di avere gratuitamente un computer, collegamento internet veloce, tablet, così come tutta la strumentazione necessaria per svolgere lezioni di qualità a distanza. Esisterebbero alloggi gratuiti e spaziosi per tutti, quindi ogni studente potrebbe avere una stanza tutta per sé dove poter studiare. Inoltre, una scuola con tante risorse a disposizione avrebbe una quantità enorme di materiale multimediale di grande qualità da poter utilizzare per la didattica a distanza, quello che oggi solo alcuni college esclusivi possono permettersi. Diciamo che, pur dovendo comunque far fronte a una situazione difficile, sicuramente gli studenti sarebbero meno penalizzati.
Le donne nel socialismo avrebbero la possibilità di essere sgravate del lavoro domestico e dalla cura dei figli anche in una situazione di rischio di contagio?
Non vogliamo raccontare delle bugie come fanno i rappresentanti della borghesia. Un problema come il Coronavirus, laddove si fosse sviluppato per qualche ragione, avrebbe determinato una situazione di difficoltà anche in un’economia pianificata sotto controllo dei lavoratori. In relazione alle donne, al fine di liberarle dalla condizione di oppressione in cui si trovano e sgravarle dal lavoro domestico, dalla cura dei figli e degli anziani, nel socialismo verrebbero istituite mense pubbliche, lavanderie pubbliche, imprese pubbliche per la pulizia e l’igiene delle case, asili e scuole pubbliche a tempo pieno. Un sistema basato sull’utilizzo di strutture pubbliche ovviamente dovrebbe affrontare dei problemi laddove si sviluppasse una malattia che rende pericoloso l’utilizzo di strutture pubbliche. Ma non dimentichiamoci che, con l’attuale livello di sviluppo delle forze produttive, se la produzione fosse una proprietà pubblica, si potrebbe riconvertire in poco tempo parte dell’industria in industria che produce ciò che serve nel momento dell’emergenza, dal tampone a mascherine realmente protettive. Ciò significa ad esempio che in caso di necessità di utilizzare una struttura pubblica ci sarebbero reali protezioni gratuite a disposizione di tutti. Sarebbero anche disponibili molti più tamponi. Se oggi non ci sono tamponi a sufficienza nemmeno per accertare lo stato di salute dei pazienti sintomatici è perché i tamponi vengono prodotti da industrie private, che li vendono magari a caro prezzo. Nel socialismo potremmo produrre tutti i tamponi di cui abbiamo bisogno. Soprattutto, nel socialismo, ci sarebbero reali possibilità per le donne di sfuggire alla violenza domestica: ogni donna avrebbe totale autonomia economica e potrebbe disporre di un alloggio gratuito, dove vivere da sola o con chi preferisce.
Sono in molti a dire che il socialismo è un’utopia e che il suo fallimento sarebbe dimostrato, storicamente, dal fallimento dell’Unione sovietica o dagli attuali regimi liberticidi di Cina, Russia, Cuba. Come stanno veramente le cose?
Come abbiamo scritto all’inizio, 2000 capitalisti posseggono la ricchezza di 4 miliardi e mezzo di persone: l’unica vera utopia è pensare che da questo sistema iniquo e criminale potrà mai nascere qualcosa di buono per i lavoratori e per le masse popolari. Se non esistesse questa gigantesca sperequazione, questo mastodontico esproprio che una minoranza dominante perpetra ai danni dell’umanità che viene privata dell’intera ricchezza prodotta da miliardi di lavoratori in tutto il mondo, potremmo realizzare una società interamente basata sulle necessità vitali e sociali di tutti, dove il lavoro avrebbe orari e condizioni compatibili con le necessità di vita dei lavoratori, nel rispetto del clima e dell’ambiente. Inoltre, il lavoro sarebbe un’occasione di realizzazione delle proprie capacità e predisposizioni, non una costrizione. Quelli che vengono impropriamente chiamati “Stati socialisti” o “comunisti” (Unione Sovietica, Cina, Cuba, ecc) sono stati per un periodo Stati operai degenerati e burocratizzati dove è stato progressivamente restaurato il capitalismo: rappresentano la negazione stessa del comunismo. Il socialismo non è un’utopia: è l’unica possibilità che abbiamo per salvare l’umanità prima del punto di non ritorno.